Educare alla luce, passando dal buio.
di Viola Nigro
Ogni anno, alla fine di ottobre, l’aria si riempie di zucche luminose, costumi, risate e un pizzico di mistero. Halloween è spesso vista come “la festa dei mostri e delle streghe”, ma dietro le maschere di plastica e i sorrisi inquietanti si nasconde qualcosa di molto più profondo: un rito antichissimo che parla di trasformazione, accettazione e riconciliazione con le nostre ombre.
Origini: quando la notte serviva a fare luce
Le radici di Halloween affondano nel festival celtico di Samhain, celebrato oltre duemila anni fa. Per i Celti, era il momento in cui il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliava. Ma non era paura, era rispetto. Si accendevano fuochi per guidare gli spiriti benevoli, si onoravano gli antenati, si salutava l’estate per accogliere l’inverno.
Samhain non era la festa dei “mostri”, ma un rito di passaggio, un modo per riconoscere che la vita e la morte, la luce e il buio, sono parte dello stesso ciclo.
Le streghe: custodi di conoscenza e ombra
Le “streghe” che oggi popolano travestimenti e decorazioni non erano mostri, ma custodi di saperi antichi, conoscitrici di erbe, guarigioni, cicli naturali e misteri interiori.
Molte di loro furono perseguitate perché incarnavano un potere diverso: intuitivo, libero, non controllabile. Ma nel simbolo della strega non c’è il male… c’è sapienza, trasformazione, coraggio.
Travestirsi da strega, oggi, può diventare un gesto di restituzione simbolica, un modo per riappropriarsi di quella forza femminile e universale che sa ascoltare, intuire, trasformare.
In fondo, chi più delle streghe rappresenta la forza di accettare la propria ombra e trarne conoscenza, trasformando la paura in consapevolezza?
La psicologia dell’ombra
Carl Gustav Jung scriveva che “ognuno di noi è seguito da un’ombra, e meno è incorporata nella nostra vita cosciente, più è nera e densa”. Ci ha insegnato, quindi, che ogni essere umano possiede un’“ombra”: la parte di sé che nasconde, nega o teme. Ma non è un mostro da combattere, è una parte viva da comprendere.
Halloween, da questo punto di vista, è un’occasione collettiva per dialogare con la propria ombra.
Mascherarsi non significa nascondersi, ma mettere in scena le proprie paure, trasformarle in gioco, espressione, arte. È una catarsi leggera, una forma di psicologia popolare: ridiamo del buio per imparare a guardarlo senza terrore. Nel momento in cui le paure assumono un nome, una forma, un colore… perdono il loro potere distruttivo.
Lasciate che i bambini festeggino
E allora sì: lasciate che i bambini festeggino Halloween.
Lasciateli correre tra le case con le mani sporche di cioccolato e le maschere storte, perché in quel gioco stanno imparando una lezione profonda.
Stanno imparando che il lato oscuro non va temuto, ma conosciuto.
Che dare un nome alle paure è il primo passo per disinnescarle.
Che si cresce non reprimendo l’ombra, ma accogliendola e trasformandola in creatività, curiosità, libertà.
Non si educa con la paura: si educa con la conoscenza.
E ogni volta che un bambino ride dietro una maschera da mostro, sta compiendo, senza saperlo, un atto di coraggio psicologico. Sta dicendo: “Io non ho paura del buio, perché ho imparato ad accenderci una luce dentro.”
La bellezza di festeggiare
Festeggiare Halloween, dunque, non è un inno al male, ma un atto di consapevolezza. È un invito ad accettare che dentro ogni persona convivono luce e ombra, gentilezza e rabbia, paura e amore. È dire: “Sì, ho anche io le mie ombre, e le accolgo.”
È la celebrazione del diritto di essere interi, non perfetti.
Solo chi sa guardare la propria oscurità può scegliere davvero la luce.
E forse è proprio questa la magia più grande di Halloween: ricordarci che la notte non è un difetto del giorno, ma la sua necessaria metà.
I veri “mostri” non si travestono: si nascondono dentro ciò che non vogliamo riconoscere.
Ma a volte basta guardarli negli occhi per scoprire che sono solo parti di noi che chiedono di essere amate.
