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di Mariadonata Longo
Arrivo di sera, quando tutto è immerso in un silenzio ovattato e il tempo sembra rallentare.
Le luci sono soffuse, l’aria è ferma, e ogni cosa intorno a me sembra custodire un segreto. Non ho ancora capito se è la memoria a richiamarmi, o se si tratta di nostalgia.
Forse nessuna delle due. Forse è solo il fascino sottile, quasi magnetico, di ciò che è stato e non è più.
C'è qualcosa nei luoghi che hanno conosciuto un tempo passato e sento che ogni passo è un dialogo muto con i ricordi.
Entro dal portone secondario, quello che non si affaccia sul vecchio lastricato, ma si apre accanto al campanile: una torre slanciata con otto punti luce che svetta verso il cielo come un razzo pronto a sfidare l’infinito. Mi immergo nel silenzio solenne della Chiesa Madre di San Nicola, la nostra antichissima parrocchia, le cui origini affondano in secoli lontani.
Appena dentro, le colonne con capitelli che imitano lo stile corinzio sembrano aprirsi per farmi passare, come se custodissero un passaggio segreto verso un’altra epoca. Vengo proiettato in un tempo remoto, intriso di fede e raccoglimento, dove le giaculatorie in latino risuonavano tra le navate, recitate a memoria da voci umili e fiere, mentre le dita scorrevano lente sui grani del rosario, in una preghiera silenziosa e intensa.
In fondo all'altare, si staglia un coro ligneo del 1649, finemente scolpito nei rintagli, un luogo ormai deserto dove nessuno si siede più. Le iscrizioni incise sui marmi raccontano storie di tempi remoti, date che sembrano appartenere a un’altra epoca. Linee e segni, consumati dal tempo, parlano di vita eterna e di miracoli sussurrati da generazioni passate.
Mi soffermo a leggere e rileggere le parole in antico latino, lasciandomi avvolgere dal loro mistero. Mentre i miei occhi si posano su quei segni antichi, il pensiero si perde e ritorna alle parole lente e carezzevoli, appena sussurrate da mia madre, come un eco dolce e familiare. Secoli di memoria scorrono dentro di me, riportandomi indietro nel tempo, passo dopo passo, dentro quelle parole, in un dialogo silenzioso con il passato.
Ogni incisione diventa una finestra su un mondo ormai scomparso, un ponte invisibile che collega la mia anima a chi ha pregato, sperato e vissuto in quel luogo sacro. In questo silenzio carico di storia, sento il peso leggero della memoria, che mi accompagna e mi guida, facendomi sentire parte di un filo infinito di fede e di umanità.
La statua della Madonna del Rosario, incastonata in una nicchia angusta, cattura tutta la mia attenzione. Qui, nelle ore del crepuscolo, le mura sembrano sussurrare storie di mani tremanti, lacrime silenziose e preghiere mormorate.
Madri stanche, segnate nel volto dalla fatica della terra. Credo che la vita mi abbia scelta per contemplare i volti di queste statue, di queste pietre, di queste lapidi. Sono rapita da questo tempo sospeso, fatto di ore lente e luminose, che si accendono ampie, spalancando lo sguardo sui secoli.
Attraverso le forme scolpite nella pietra, le decorazioni che resistono al tempo, accolgo un passato che continua a parlarmi in un linguaggio silenzioso, ma nitido, dentro un mondo che cambia. E così mi interrogo, cercando tracce di ciò che ero, respirando l’attesa in quel punto in cui il giorno si dissolve.
Le anime raccontano di sé attraverso i simboli incisi sulle lapidi, lasciando dietro di sé una sensazione di pace eterna. Tutto respira, nei gesti rituali di ogni giorno, come se la materia stessa partecipasse alla memoria. Io resto immobile, mi perdo in questo fascino antico, che racchiude attimi velati di felicità.
Mi siedo e osservo, lasciandomi travolgere senza chiedere nulla. Cammino a passi lenti dentro la storia, come dentro un miracolo, trattenendo il respiro.
Resto lì, immobile. Non serve andare oltre. È qui che il tempo si piega, e in quella piega mi trovo.
