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Elce Magazine

“Passa passa ca nun c'è nient”: la notte in cui i morti camminavano per il paese

2025-12-05 08:57

Viola Nigro

Borghi,

“Passa passa ca nun c'è nient”: la notte in cui i morti camminavano per il paese

Ricordi e voce di Francesco Di Sapia, priore di Sant’Anna e Morti    di Viola Nigro  C’era un tempo...

 

 

 

Ricordi e voce di Francesco Di Sapia, priore di Sant’Anna e Morti

 

 

 

di Viola Nigro

 

 

C’era un tempo, non troppo lontano, in cui la sera del 2 novembre il paese si stringeva nel fiato corto dell’attesa. Le case ancora senza luce, la nebbia che scendeva tra le strade strette, i bambini che si raccoglievano intorno alle madri. E poi loro: i due uomini della questua, quelli che si diceva portassero “i morti” in giro per il paese.

 

Non era una processione, non era una festa.
Era un rito. Un rito antico, fragile come una fiamma d’olio.

 

Si cantava una cantilena che sembrava venire da lontano, da più lontano ancora dei nonni. Due persone avanzavano lente nel buio percorrendo le strade del paese. Portavano con sé la “cocc r’ priatorij”, un teschio illuminato, l’olio, destinato ad alimentare le candele e la cassetta per le offerte. Quando la luce elettrica scarseggiava, l’olio era vita, era fiamma che rischiarava l’altare dei morti. La cassetta, invece, custodiva la solidarietà dei vivi verso le anime del purgatorio.

 

La notte in cui i morti tornavano liberi

Si credeva - e qualcuno lo crede ancora - che il giorno dei morti le anime potessero tornare a respirare l’aria della terra. Libere fino a Pasqua ed Epifania, quando sarebbero rientrate nel loro purgatorio.
La filastrocca lo ricordava, come un lamento, un mormorio che si attaccava alle pareti delle case:

 

“Passa passa ca nun c’è nient,
e so' f'nut l’amic e li parient…”

 

Era quasi un duetto: una voce lanciava la strofa, l’altra rispondeva con tono grave, profondo, come un’eco dall’aldilà.
“Voi revot chi mi chiama in questa sera?”
E la risposta arrivava come un brivido:
“L’an’m sant b’n’rett r’ lu priatorij…”

 

Era un canto che evocava assenze, che ricordava la fragilità dei legami terreni. Una voce chiamava, l’altra rispondeva, e nel buio della sera sembrava che davvero le anime del purgatorio si affacciassero alle porte delle case, chiedendo conforto.

 

Quella filastrocca, ancora oggi, è conservata nella sagrestia della chiesa di Sant’Anna e Morti. Sopravvissuta come una reliquia di voce.

 

“Quando passavano, noi bambini scappavamo”

Nella memoria dell’intervistato Il priore della chiesa Francesco Di Sapia, tornano vivide le figure di quei due uomini: Antonio Curatolo, chiamato “lu Bammin’”, e Michele Nunziata, detto “Monzignor”.
Erano loro, fino agli anni Sessanta/settanta, i custodi del rito.

 

Li ricordano tutti! 

 

Per i bambini, quella visione era insieme terrore e fascino: il teschio con gli occhi illuminati, la cantilena che si levava nella nebbia, il senso di mistero che avvolgeva la notte. 

 

Eppure era un timore buono, antico. Quello che nasce dal mistero, non dalla paura.
Un timore che educava al rispetto del ricordo, al valore della preghiera, alla dolcezza della mancanza.

 

Una tradizione spezzata, che aspetta solo di rinascere

Tutto questo era per la chiesa di Sant’Anna e Morti, una chiesa povera, senza entrate, senza la forza economica delle altre. Una chiesa che viveva (e vive) di offerte, di piccoli gesti di pietà, di quella questua che era insieme sostegno materiale e rito spirituale.

 

Da quando quei due uomini non ci sono più, la questua non si è più fatta.
E il paese, forse, ha perso un pezzetto di sé.

 

Bisognerebbe trovare due persone ad hoc”, dice Francesco, quasi sorridendo. “Sarebbe bello ritornare a farlo… ma ancora non le ho trovate.”

 

Il desiderio è vivo, sottile.
È la nostalgia di chi sa che certe tradizioni non servono a spaventare, ma a tenere insieme una comunità, in cui la memoria dei morti non era confinata al cimitero, ma camminava tra le strade, bussava alle porte, chiedeva di essere ricordata.

 

E allora, come un dono, come un filo che non si vuole spezzare, il canto rimane.
Lo riportiamo qui, come fosse un ultimo lume acceso nella notte dei ricordi:

 

Canto di questua per le anime del purgatorio

 

Passa passa ca nun c'è nient
E so f'nut l'amic e li parient

 

R. Voi revot chi mi chiama in questa sera
 

L'an'm sant b'n'rett r' lu priatorij

Vuij stet allegrament e l'an'm r' lu priatorij
Stec n't' r' pen' ardent

 

R. Voi revot chi mi…

 

Vuij ca stet a porta 'nchius
e l'an'm r lu priator v spij ra lu p’rtus

 

R. Voi revot chi mi…

 

Tutt r fiest'r iess'n e v'ness'n
ma Pasqu ebb'fanij mej ca turnass

 

R. Voi revot chi mi…

 

Oggi, di quella notte speciale restano soltanto i racconti, una cantilena conservata in sagrestia e il desiderio, ancora vivo, di rimettere insieme un rito che, nel suo piccolo, raccontava molto più della morte: raccontava la vita, il paese, la sua voce.

 

Una voce che meriterebbe di tornare a farsi sentire.