Desiderio di relazioni chatbot a chiamata diretta e a risposta incondizionata
Di GIACOMO LIPSI
Medico psicoterapeuta
Spec. in Psichiatria presso “Polic. Riuniti” di Foggia
Co-fondatore del Centro di Psicoterapia “Essere sé”
Nell’epoca contemporanea si moltiplicano software in grado di simulare ed elaborare le conversazioni umane (scritte o parlate), consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale. I cosiddetti “chatbot” possono essere semplici programmi rudimentali che rispondono a singole richieste, dette “query”, in modo elementare con una singola riga oppure come veri e propri assistenti digitali che apprendono e si evolvono per fornire livelli crescenti di complessità. Si parla di “personalizzazione” aggettivo usato con ulteriore specificazione, facilmente fuorviante, nell’accezione di relegare un’impronta personale conferita a prestazioni o servizi virtuali.
Sta di fatto che si raccolgono ed elaborano le informazioni degli utenti per svariate finalità, ma spesso accomunate da un unico obiettivo, che molte volte, neanche tanto velatamente, è rappresentato dal fattore economico. Un modo per organizzare domanda e offerta, allo scopo di suddividere l’utenza in gruppi omogenei in base a gusti, interessi e comportamenti che, by-passando il fattore umano e la sua reciprocità relazionale, antepone il fattore digitale come un servizio di agevole utilità e rapidità.
Friederich Hegel nella sua opera filosofica “Fenomenologia dello spirito” pubblicata per la prima volta nel 1807, si esprimeva in termini di “percorso” quello che ogni individuo deve compiere partendo dalla propria coscienza, per identificare e decifrare la realtà fenomenologica attraverso le quali lo spirito si innalza dalle forme più semplici di conoscenza a quelle più generali, fino al sapere assoluto. Un percorso definibile “esperienziale” basato sull’incontro con l’altro, sul confronto come strumento di crescita, esplorato dai nostri sensi che ci connotano “umani”, non umanoidi.
Esponeva inoltre la sua celebre la teoria della “dialettica signore-servitù” come “tappa” significativa della progressiva evoluzione verso l’autocoscienza, la piena consapevolezza del sè.
Ad oggi, guidati dall’Intelligenza Artificiale (IA), regole automatizzate, elaborazione in linguaggio naturale (NLP) e Machine Learning (ML), siamo pervasi da strumenti digitali che elaborano dati per fornire risposte a richieste di ogni tipo, il cui ruolo è sempre più rilevante e per taluni, fondamentale. D’altro canto, vi è il rischio concreto di relegare la nostra dipendenza in nome del progresso, divenendo noi stessi i “nuovi servi contemporanei” accontentandoci di “risposte incondizionate” purché immediate. Risposte in realtà svincolate dall’oggetto fonte di ricerca, spesso distanti dalla nostra aspettativa che subisce un mutamento originario, esitando in un’inesorabile confusione. È il desiderio che subisce un’amputazione, vittima inconscia della sua stessa smania e frenesia, sacrificato in nome dell’immediatezza di un risultato.
La digitalizzazione ha permeato ogni aspetto della nostra vita, con la pretesa da un lato di rendere il mondo più connesso e accessibile, ma dall’altro percependoci come soli e distanti, portando con sé un concentrato di ambiguità e disorientamento.
Emergono nuove sfide e problematiche, specialmente per la nostra salute mentale, soprattutto derivanti dall’uso eccessivo e sregolato della tecnologia, concorrendo a problemi come ansia, depressione, isolamento sociale. Sovrastimolazione sensoriale, dovuta all’eccessivo input visivo e uditivo dei dispositivi digitali. Alterazione del senso di tempo e spazio, perdendo la percezione del reale. Disturbi del ritmo sonno-veglia, riduzione dell’attenzione e della produttività dovuto alle distrazioni digitali. Diminuzione dell’interesse nelle relazioni sociali, preferendo l’interazione online rispetto al contatto umano diretto, con un inevitabile calo del rendimento scolastico o lavorativo. Tutto questo rientra pienamente nella “Internet Addiction Disorder (IAD)” ovvero la dipendenza da internet, un fenomeno sempre più emergente, di cui il comportamento compulsivo legato all’uso eccessivo di internet e dei dispositivi digitali, sono epifenomeno percepibile.
Ciò consente all’uomo del terzo millennio di vivere senza vincoli e “senza relazione”, ma con l’idea di essere connessi “virtualmente” e con la costruzione di legami labili e tronchi, fugaci, privi di sostanza e pronti ad essere interrotti.
“Generazione inter-rotta” potremmo definirla, inter-connessi fra mondo reale e mondo virtuale nel rincorrere dietro il soddisfacimento immediato di un bisogno. Persuasi e sottomessi fra l’erronea convinzione di appagare istantaneamente una richiesta, tanto parziale quanto precaria, pretese da rivendicare, ma inermi senza la mediazione di uno schermo digitale, sospesi fra lo scorrere dei giorni.
Ci si sente più sicuri con un telefono fra le mani, come un’arma; pronti per un video o una foto al momento più opportuno (o inopportuno), con l'abitudine di controllare compulsivamente il cellulare, snobbando fin anche gli affetti più cari. Vien meno il senso dell’attesa e dell’intimità nell’eccessiva condivisione di istanti di vita con la conseguenza di instaurare una vera e propria relazione con il proprio smartphone. E se è vero che l’attesa aumenta il desiderio, è solo nel “percorso” e nella libertà di errare - nel significato latino di «vagare; sbagliare» - che si intravede la meta.