ZINA
di Stefania Piccirilli
L'odore che si portava addosso nonna Costanza era inconfondibile.
Le sue mani sapevano di candeggina, prova indiscutibile della sua vocazione alle faccende domestiche.
La ricordo con dolcezza: alta e robusta, con gli occhi color salvia e lo sguardo cupo e severo. Aveva le dita affusolate, eleganti, e sorrideva a stento, per via delle sventure che colpirono la sua famiglia, per i numerosi figli morti, le perdite e gli abbandoni subiti.
Nonostante la spigolosità dei suoi anni, mi coccolava, pettinava i miei capelli di seta con cura, mi parlava con pazienza, con saggezza.
Passava ore a ricamare, a rendere pezzi di storia preziosi , certa , che avrebbe lasciato il suo dono d'amore più sincero.
La osservavo con discrezione mentre entrava nella sua camera da letto, un luogo sacro, arredato con mobili antichi, popolati da putti color oro e tessere di madre perla, intarsi preziosi ereditati dalla bisnonna. I marmi dei comodini erano freddi come ghiaccio che vuole resistere al calore, i lampadari di ottone scendevano dal soffitto come prolungamenti di un cielo senza spazio.
Sulla cassettiera, le foto di nonno Giuseppe, delle zie volate altrove e di padre Pio, scolpivano un altare votivo mesto e silenzioso.
Mi pareva il salotto segreto di una donna mai vinta, che aveva saputo nascondere, per anni, in mezzo a quelle ante ingiallite, quintali di naftalina per allontanare il fetore della morte.
Al capezzale, un inginocchiatoio di legno consegnava a quel luogo misterioso un'atmosfera religiosa e immateriale, ai miei occhi spaventosa.
Ogni giorno, alle ore diciotto, la vedevo piegarsi in preghiera su quello strano arredo. Le maniche appena sollevate e la corporatura importante , le davano sostegno, la incoraggiavano a recitare suppliche di cui credevo non avesse bisogno.
Mi sembrava un'ingiustizia assistere al suo lamento. Era Dio ad essere in debito con lei, a doverle chiedere scusa per il suo disegno divino andato male .
Eppure, a lei piaceva pregare, inginocchiata su quel pezzo di legno lucidato a nuovo, circondata da quei marmi senza più spigoli da spolverare, da quegli angeli dorati e paffuti che non avevano trattenuto nulla di sacro.
Si aggrappava al rosario che teneva stretto tra le mani come fosse un bambino bisognoso di cure.
Lo sguardo era fisso, rivolto al crocifisso posto sulla parete nuda.
Il silenzio in quella stanza era surreale, parlava di miracolo, di assoluzione, di una via d'uscita.
Non una lacrima, un segno di cedimento, di umana fragilità, di rabbia.
Tre colpi sul petto.
Uno, due, tre .
"Il Signore Dio onnipotente e misericordioso, ci conceda il perdono....."
Lentamente il buco della serratura si tingeva di nero ed io correvo per raggiungere il salotto illuminato a festa.
Dalla sedia a rotelle, zia Laura intonava gli antichi canti dell'altalena, mentre zia Rosa dispensava biscotti allo zenzero e serenità con un sorriso rassicurante e puro.
Il dolore era venuto a trovarci mille volte, ed era rimasto lì, in mezzo alla bellezza e alle preghiere taciute.