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Elce Magazine

Fare Eventi è una Cosa Seria

2025-10-03 08:56

Viola Nigro

Attualità,

Fare Eventi è una Cosa Seria

Spoiler: no, non basta un microfono e due sedie in piazza.    di Viola Nigro  Per oltre vent’anni mi sono occupata, con passione e professionalità, de

 

 

 

Spoiler: no, non basta un microfono e due sedie in piazza.

 

 

 

di Viola Nigro

 

 

Per oltre vent’anni mi sono occupata, con passione e professionalità, dell’organizzazione di eventi pubblici e privati. Ho visto piazze riempirsi, progetti crescere, territori riscoprirsi attraverso la cultura, la musica, il dialogo, lo sport.
E proprio per questo, alla luce della chiusura di gran parte degli eventi estivi sui Monti Dauni, sento il bisogno e forse anche il dovere, di condividere alcune considerazioni: un tentativo di riflessione lucida su ciò che significa davvero "fare eventi" e su cosa comporta, per una comunità, un territorio e per chi lavora dietro le quinte, vedere accendersi o spegnersi, appuntamenti che hanno dato senso all’estate e identità ad un luogo.

 

Organizzare un evento non è (solo) una questione di buona volontà e spirito d’iniziativa. È una cosa seria che richiede competenze, esperienza, visione. E ancora: tempo, cure e tanta tanta pazienza. Chiunque abbia provato a mettere in piedi anche solo un compleanno o una serata di quartiere lo sa: fare eventi è una cosa seria.

 

Perché dietro a un concerto in piazza, una sagra di paese, un talk culturale, una mostra fotografica o un evento sportivo non ci sono solo le luci, gli applausi e le foto su Instagram. Ci sono decine, a volte centinaia di dettagli da gestire, permessi da ottenere, professionisti da coordinare, imprevisti da domare e, soprattutto, tanta attenzione alla sicurezza.
E no, non basta svegliarsi una mattina con l'illuminazione divina del "facciamo un evento!" per portare la gente in piazza. Né tantomeno ci si può svegliare a luglio per “pensare all’estate”: un evento ben fatto si progetta mesi prima, con metodo, strategia, competenza e una sana dose di pragmatismo.

 

Il dietro le quinte che nessuno vede (ma tutti dovrebbero conoscere)

 

Un evento riuscito è come uno spettacolo teatrale: se tutto fila liscio, sembra quasi che sia stato facile. Ma dietro le quinte si muove una macchina organizzativa degna di un Gran Premio. C'è chi cura la comunicazione, chi si occupa della logistica, chi coordina la sicurezza, chi gestisce la parte artistica… e poi ci sono quelli che si assicurano che gli ospiti abbiano tutto il necessario, dai servizi essenziali al semplice comfort. Sì, anche l’acqua fresca o un posto dove cambiarsi senza sembrare concorrenti di un reality estremo.

 

E invece, troppo spesso, mancano le condizioni minime per garantire una permanenza dignitosa. Ho visto artisti costretti a cambiarsi in piedi tra due auto, ospiti alla ricerca disperata di un bagno come fossero in una caccia al tesoro e organizzatori scoprire all’ultimo che manca… il palco.
Sono dettagli? No. Tutto questo non è solo indice di scarsa cura, ma mina la reputazione dell’evento stesso.


 

Sicurezza, legalità e… buon senso (che non si compra su Amazon)

 

Ho visto eventi realizzati senza piani di sicurezza, senza un responsabile, al limite dell’illecito e per giunta patrocinati da enti pubblici. Questa leggerezza espone tutti, organizzatori, amministrazioni, sponsor, a rischi concreti e gravi conseguenze legali, economiche e reputazionali. 

L’assenza di incidenti non è garanzia di correttezza: è solo fortuna. E la fortuna, si sa, non è una strategia.

 

Eh no, ragazzi belli… non è che basta uno slancio motivazionale, un’idea discreta, un modulo al Comune e due transenne per sentirsi organizzatori. Perché finché tutto fila liscio va bene, ma basta un imprevisto per ritrovarsi nei guai, quelli veri.

 

Ogni persona coinvolta ha un ruolo fondamentale. E improvvisare, in questo contesto, non è sinonimo di creatività: è spesso il modo più veloce per fallire, deludere il pubblico o, peggio ancora, bruciare una bella idea che avrebbe meritato molto di più.

 

Le cose da tenere a mente:

 

  1. Perché lo facciamo? – L’obiettivo dev’essere chiaro: promozione del territorio? Valorizzazione culturale? Coinvolgimento giovanile? Basta con gli eventi “purché si faccia qualcosa”.
  2. A chi ci rivolgiamo? – Conoscere il proprio pubblico è fondamentale. Il pubblico (o gli invitati) vanno conosciuti e rispettati: i gusti, le esigenze, i tempi. Un concerto folk non attirerà lo stesso pubblico di una serata elettronica. Vale anche il contrario.
  3. Con quali risorse? – Budget, personale, attrezzature. Sognare è lecito, ma bisogna restare con i piedi per terra. Un evento low-cost ben pensato può avere più successo di un’iniziativa ambiziosa ma disorganizzata.
  4. Chi fa cosa? – Innanzitutto: a chi stiamo affidando l’evento? A un’associazione? A un professionista? A tuo cugino? Al tuo amico, quello “in gamba”? Perché sì, è fondamentale anche questo. Che competenze ha? Inoltre definire i ruoli evita il caos dell’ultimo minuto. Il “tutti fanno tutto” funziona solo nei film (e neanche tanto). Delegare è fondamentale. Anche nelle feste di famiglia, dove “tutti aiutano” e alla fine… nessuno sa chi ha fatto cosa (tranne i litigi: quelli sono sempre chiarissimi). Morale della favola: delegare salva gli eventi. E i rapporti umani.
  5. Comunicazione – Un evento senza promozione è come un concerto in una foresta disabitata: anche se bellissimo, non lo vedrà nessuno. Servono grafica, social, locandine, magari anche un ufficio stampa. Inoltre, che sia un volantino, un invito, un post social o una partecipazione elegante, anche l’estetica comunica. Coerenza e attenzione ai dettagli sono sempre vincenti.


 

Il rischio è sempre lo stesso: deludere le aspettative. E quando un evento delude, lo fa rumorosamente. Il pubblico non torna. Gli ospiti/invitati ricordano ogni errore. E l’eco del “si poteva fare meglio” risuona più a lungo della musica.

 

Perché diciamolo: in molti credono ancora che basti una locandina colorata, un palco traballante e una band qualunque per creare l’evento dell’anno. Il risultato? Serate deserte, ospiti imbarazzati, pubblico assente e l’inevitabile commento: “Eh, ma la gente non partecipa più come una volta…”.

 

La verità è che la gente partecipa eccome, se la proposta è valida, curata, pensata per lei. E sì, se si sente parte di qualcosa.

 

In conclusione

 

Fare eventi è un atto di responsabilità verso una comunità. È mettere in moto energie, emozioni e risorse (soldi pubblici) per creare momenti di bellezza condivisa. È, prima di tutto, un lavoro. E come ogni lavoro, merita rispetto. Anche quando si tratta “solo” di una serata in piazza.

 

E no, non si improvvisa.

 

Che si tratti di una serata in piazza o della festa più importante della propria vita, organizzare un evento è una cosa seria.